| Alfredo Giacomini architetto
                        Apologia del vuoto
                         ad Alfredo e Sorin
 
 
Smarriti nel flusso del tempo, nella successione costante degli eventi, attendiamo il disvelamento, mediante una qualche formula di enunciazione. Una enunciazione improvvisa, inattesa e circoscritta a porzioni minime d'esistenza.
In un tempo e luogo designati, l'indistinto assume tratti riconoscibili, riconducibili a frammenti o barlumi d'esistenza. E, superando la soglia del sensibile, viene così concepito, rivelando la sua intangibilità.
Possibilità supposte, presentano i loro tratti in attesa di condizionamenti che, per minimi che siano, assicurino la non illusorietà dei fatti.
 
 
Il problema della forma, della struttura.
Un problema che si supera. Che supera la funzione dell'io contingente.
Non posso, non debbo appellarmi a. Ne, a ben pensare, subire o sottostare a pressione alcuna.
La materia informa, articolandola, l'essenzialità plastica del costrutto.
Il pensiero genera, nell'attuale, modelli formalmente funzionali e atti al suo dispiegamento. Esso si estende, vagliando e optando per soluzioni proprie, tra n. possibili assunzioni. Da / a, attraverso infiniti possibili e il 'campo', il contingente funge, nella sua imprescindibilità, da costante o indotto.
Un'idea generale, un'intuizione, un'esigenza a monte, a motivare l'entità dell'azione.
Un segno, dapprima arbitrario, astratto, assume nel delineantesi contesto significato, significati oggettivi.
A suo modo una verità, il segno supporta, nella sua transitorietà, amplificandola, l'esistenza.
Apertura, inferenza sul mondo incide, nell'originalità che gli è data, giustificando la propria - e nostra immanenza.
Risultante sintetica il segno, il gesto originario, rivela l'essenza, la matrice di una eco profonda, inimitabile e propria.
(Ci sarà un tempo in cui, nella sua inopinata fondatezza, la eco, il suono generatore, verrà posto a tacere dai "se", dai "ma" dell'inconscio. A quel punto, è lecito supporre, sarà comprensione piena di quel che ora, a stento, riusciamo in parte a intuire.)
L'essenzialità, la fondatezza del gesto, nell'adempimento dell'urgenza.
Un tentativo improprio di sintesi.
Delineo, per sommi capi, tratteggiandolo, un pensiero e tento di riconoscere, individuandola, la possibilità di una risonanza strutturale implicita. Su questa, quasi una tonica, una fondamentale archetipica, dell'intelletto e attorno ad essa colloco, distribuendoli i materiali sussunti; materiali acquisiti, nella loro specificità e soggiacenti a questa sorta di impellenza, o legge, del profondo.
Attività che risiede nell'essere e che trova, nel medesimo, il suo principio e fine, quella della costruzione.
Oltre il fine, esulando da qualsiasi ambiguità teleologica, essa, nella sua immanenza, si colloca in aree neutre, non soggette a verifica, dell'esperienza.
Nuova fessura, o iato sul mondo, la costruzione, il gesto ordinatore, illustra noi e se stesso. Il suo respiro, la sua pulsazione disegnano, oltre la materia geometrie, torsioni e curvature a loro volta significanti.
Figure e analogie minime proiettano, nella macroforma, la loro capillare propulsività.
Somma e stratificazione, nonchè giustapposizione, questa, nel contempo è pura, inalterata astrazione. Assoluto in nuce, metafora di se stessa è definizione e compimento di ogni paradosso. E l'interrogativo, in essa, ottiene stralci, brandelli e ipotesi di risposta.
 
Aggrappati a forme, frasi o frammenti inconclusi ambiamo a un tutto, non omogeneo che calchi, come matrice impropria, imponendola, riconoscibilità al reale. A un tratto che, come punzone, ascriva l'inconoscibile nelle sfere di quel che possiamo, dobbiamo tentare.
La farneticazione è propria e lo sproloquio è debito, negli universi dell'ignoto e tu non puoi, se non concessoti, provarti nel seguire, solo ipoteticamente, le contorte involuzioni. O, prova, se credi, ad attribuire sensi a quanto di continuo mi è dato, posso formulare. Io non so, dove questo conduca ma, è certo, follia il non tentare.
Dovrei questo e quest'altro ma qui, nel vuoto, qualcosa o qualcuno mi attende. Forma, formula giaculatoria prossima all'orare, propongo sensi e non auspico risvolti. E le sfere semantiche cedo a chi.
 
 
                                                                                         ENRICO CLEMENTI
 
 
 
 
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